Orsú, che sia morto»; e subito fu morto. Dopo questo disse: «Poi che 'l popolo ha fatto contra il mio comandamento, tutta questa terra porti la pena e sia messa a sacco». E cosí la sua gente cominciò a saccheggiar la terra, con uno spavento e romor grandissimo di tutti: durò questa cosa da tre in quattro ore. Poi comandò che dovessero lasciar stare di saccheggiar piú oltra, e dette a tutta la terra taglia di certa somma d'oro. Finalmente fece venire a sé il figliuolo di questo Chozamirech, e lo confortò e accarezzò con buone e umane parole. Era Chozamirech uomo ricchissimo e di ottima fama.
E questo basti quanto alle cose della mala compagnia ch'hanno li cristiani in quei luoghi, e quanto alla fine di questa seconda parte, e conseguentemente di tutta l'opera descritta per me, con quel miglior ordine che ho potuto, in tanta varietà di cose, de' luoghi e de' tempi: e fornita di scrivere adí 21 di decembre 1487, a laude del Signor nostro Giesú Cristo, vero Dio e vero uomo, al quale noi cristiani, e specialmente nati nell'illustrissima città nostra di Venezia, siamo molto piú obligati di quello che sono queste genti barbare, aliene dal suo culto e piene di mali costumi.
Il fine del viaggio di messer Iosafa Barbaro alla Tana e nella Persia.
Lettera del medesimo auttore scritta al reverendissimo monsignor Piero Barocci, vescovo di Padova, nella qual si descrive l'erba del baltracan, che usano i Tartari per lor vivere.
Reverendissimo Monsignor, Signor mio osservandissimo, avendo inteso da messer Anzolo mio fratello, che è stato con Vostra Signoria reverendissima molti giorni a piacere in quelli monti ameni del Padovano, come ella si diletta grandemente d'intender la natura delle erbe, e massimamente di quelle che non sono cosí note a ognuno, ho voluto, per non mancar al debito della servitú che ho con Vostra Signoria reverendissima, scriverle e darle notizia ancor io di una, che al presente mi occorre fra molte altre che ho vedute nelle parti di Tartaria, quando fui al viaggio della Tana.
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