E le dico che i Tartari hanno un'erba nel lor paese, che la chiamano baltracan, la qual mancandogli patiriano grandemente, né potriano andar da loco a loco, massimamente per quelli gran deserti e solitudini dove non si truova da mangiar, se non fusse questa che li mantiene e dà vigore; la qual come ha fatta il suo gambo, tutti li mercanti e genti che voglion far lungo cammino si mettono sicuramente in viaggio, dicendo: «Andiamo, che è nato il baltracan». E se qualche loro schiavo fugge quando il baltracan è nato, restano di seguitarlo, perché sanno che ha potuto trovar da viver per tutto. E quando camminano con il loro lordo ne portano sopra i carri e sopra le groppe de' cavalli per il lor vivere e anco in spalla, né par lor grave, tanto il suo sapore diletta a tutti. Noi mercanti ch'eramo nella Tana, come n'era portata nella terra, subito ne pigliavamo e andavamo mangiando. E non voglio restar di dir ch'essendo poi tornato a Venezia, fui mandato proveditore in Albania, dove, cavalcando verso Croia con 500 persone, viddi da un canto della strada di questo baltracan, e fecimene dare e cominciai a mangiarne, e anche tutta la brigata ne volse gustare: e gustato venne in tant'uso che dapoi ognuno ne portava fasci, chi a cavallo e chi a piedi in spalla, non tanto per necessità quanto per il suo buon gusto e buon sapore, di modo che gli Albanesi andavano poi gridando: «Baltracan, baltracan». Dipoi trovandomi anche in Padovana, nella villa di Terrarsa, viddi di questo baltracan.
E accioché Vostra Signoria reverendissima lo possa conoscere come fo io, quando le paresse di volerne trovare in quei monti, le descriverò qui brevemente con parole la sua forma.
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