Lascierò di dire molte altre cose che potria dire, per non esser io piú lungo e per non esser quelle troppo importanti.
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Lettera d'Alberto Campense intorno le cose di Moscovia, al beatissimo padre Clemente VII, pontefice massimo.
Se quel Pastor evangelico, o pontefice veramente massimo, del quale voi sete vicario in terra cercò la smarrita pecorella delle cento con tanta diligenza, e trovatala con tanta allegrezza, anzi con grandissima festa di tutto 'l cielo riportò alla sua greggia sopra le proprie spalle, chi non sa quanta cura e sollecitudine debbe avere il sommo pastor della Chiesa, quando non una delle cento, ma molte centenaia d'anime ch'erano smarrite desiderano di ridursi alla greggia di Cristo? Onde non posso a bastanza maravigliarmi di quel che si pensassero i predecessori della Santità Vostra, i quali quella popolosissima nazione de' Moscoviti, in pochissime cose da noi differente e che tutta è dannata per esser ella separata dall'unione della Chiesa, hanno insino al dí d'oggi spregiata piú tosto che per via alcuna cercato di ridurla alla unità della Chiesa, massimamente potendosi, come appresso si dimostrerà, con poca fatica ridurre. Fu mosso da questo pensiero il religiosissimo padre Adriano VI, antecessore della Santità Vostra, il quale quasi con gli sproni a' fianchi in tutt'i modi a me possibili io sollecitai, mettendogli innanzi tutte le cose le quali mi parevano che dessero non picciola speranza di potersi tal cosa mandare ad effetto.
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