Fatta la partizione, cominciammo a preparar le piccole fuste per abbandonar la maggiore. Parevane cosa molto difficile, per non aver l'arboro né altro luoco altiero da poterle metter nella banda; nondimeno la necessità ne messe avanti di drizzar l'arguola del già nostro timone e fortemente legarla alla sinistra banda del nostro castello da poppe, però che l'era sotto vento, mettendo le taie congrue e frasconi nella cima con le fonde sufficienti, e aspettando anco che 'l tempo, il mare e vento si mitigasseno.
Adí 17 di decembre, essendo fatta alquanto di bonazza, con gran difficultà mettemmo le piccole fuste nel grande e spaventoso mare, al far del giorno, e ragunate le vettovaglie che n'eran rimaste giustamente le dividemmo, dandone a quelli del schiffo per persona 21 la sua rata, e alla barca per 47. Ma del molto vino che si attrovavamo l'una e l'altra turba ne prese quanto le fuste con debito modo erano capaci. Venuta adunque l'ora della partenza e separazion nostra, primamente io chiamai tutti quelli che mi parveno piú spogliati di vestimenti, e a cadauno diedi delli miei che mi ritrovavo. Dapoi, quando fummo nell'entrar e separarci, ci perturbammo tutti d'una immensa tenerezza di cuore, e si abbracciavamo l'una e l'altra parte baciandoci per la bocca, mandando fuori acerbissimi sospiri: e ben pareva (come avenne) che piú non eravamo per rivederci.
Partimoci adunque nel fare del detto giorno, abbandonando l'infelice nave, la qual con sommo studio e con gran delettazione avevo fabricata, e nella quale io avevo posto mediante il suo navigare grandissima speranza.
| |
|