Poi per unico cibo ricorrevamo al lito del mare, raccogliendo buovoli e pantalene, delle quali poca quantità si trovava: con quelli si mitigava alquanto la nostra rabbiosa fame.
Eramo tredici sotto un coperto e tre sotto un altro, giacendo parte sopra la neve e parte sedendo; ci scaldavamo ad assai debole e fumoso fuoco, peroché dalla pegola bagnata procedeva tanto fumo dai detti legni ch'appena lo potevamo tolerare, e gli occhi nostri e il volto s'enfiorono di sorte che dubitassimo di perder la vista. Ma peggio che noi eravamo carghi e pieni di vermenezzo di pedocchi, ch'a pugnate li gettavamo nel fuoco, e tra gli altri sopra il collo d'uno mio scrivanello ne viddi tanti che gli avevano rosa la carne fino alli nervi, e stimo che fossero potissima cagione della sua morte. Essendo in tale misero stato tre degl'infortunati compagni, di nazion spagnuola, uomini robusti e ben formati, spirorono di questa vita, credo per il bere dell'acqua del mare. E per esser noi tredici che eravamo rimasi deboli e impotenti, non li potevamo rimover dal fuoco, sí che tre giorni e notti vi stettero: pur con difficultà li mettemmo fuori del coperto nostro, il quale poco ne difendeva.
In capo di undici giorni, andando il mio servitor a raccoglier delle pantalene, perché altro non era il cibo nostro, avenne che nell'estrema parte del scoglio trovò una casetta fatta di legnami al lor modo, e intorno di quella e dentro vi era sterco di bove, sí che chiaro si conosceva da nuovo esservi stati animali di quella sorte, e che gente umana vi praticasse: la qual cosa ne dette non poca speranza, per il che terminammo d'andarvi per trovar riparo e coperto.
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