In queste tenebre si vedeva alle fiate aprir il cielo con folgori e lampi cosí risplendenti che ne toglievan la vista degli occhi; e ora ne pareva toccar le stelle, tanto la nave era portata in alto, ora ci vedevamo sepolti nell'inferno, di sorte che tutti attoniti avevamo perso il poter e le forze, né altro si faceva per noi se non che con pietà uno riguardava l'altro.
E scorrendo con tant'impeto per molte ore, alla fine un collo di mare ne sopragiunse con tanta furia sotto vento alla nave che l'acqua v'entrò dentro e l'impitte quasi meza, per la qual già indebolita s'ingallonò e mostrò carena. E veramente quella era l'ultima ora e fin nostro, e certo eravamo inghiottiti dal mare, se non fusse stato il nostro Signor Iesú Cristo, che non abbandona quelli che pietosamente lo chiamano, che porse tanto vigore e forza nelli animi nostri afflitti che, vedendo la nave in cosí pericoloso termine piena d'acqua, né poterla per forza umana buttar fuori, deliberammo di tagliar l'arboro, e con l'antenne e sartie buttarlo in mare. E cosí facemmo, e la nave alleggerita respirò alquanto; e noi allora, preso ardire, cominciammo a buttar fuori l'acqua, la quale con gran nostro affanno e sudore alla fine vincemmo. Di questa maniera andammo scorrendo quella lunghissima notte, e venuto pur alquanto di giorno, il nostro generoso e constante patron, vedendo la sua nave spogliata d'ogni armizzo e instrumento, qual avea fabricata e adornata con tant'allegrezza, soprapreso da un dolor e affanno inestimabile che lo faceva attonito e fuor di sé, considerando che piú non vi era rimedio di poter scapolar la vita, andando errando dove il vento e mar ne menava, pur alla fine sforzatosi, non mostrando perturbazion alcuna nel viso né nel parlare, ancor che 'l cuor li fosse trafitto e se li vedessin le lagrime agli occhi, con voce salda voltatosi verso di noi ne cominciò a parlar in questo modo:
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Signor Iesú Cristo
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