Essendo ridetto a Giausa, che s'avea mezo insospettito per quei motivi del fratello, l'insulto e presa di Amitto, non giudicò che facesse piú per lui lo star a bada, cosí per non lasciar crescer in piú forze Ussuncassano, come per riparar a molt'altri inconvenienti che sogliono addur con seco le tarde provigioni della guerra. Messo per tanto insieme l'esercito con quasi tutte le forze della Persia, venne contra Ussuncassano. Qui alcuni signori persiani, amicissimi dell'uno e dell'altro, conoscendo quanto danno ne sarebbe seguito alla Persia se si fosse venuto all'arme e al sangue, si framessero tra questi fratelli e ridussero con molta destrezza le cose a buoni termini di pace. Se non che Giausa, chiedendo di tributo a Ussuncassano trecento garzoni, né volendo esso a ciò consentire, fu cagione che si rompesse ogni pratica di accordo, perché egli diceva: "Ho io imperio sopra i figliuoli de' miei vassalli che gli paghi a Giausa per tributo? O posso io forse disporre delle loro come delle mie cose? Se Giausa volesse far forza di averli con l'arme in mano dai lor padri e dalle madri, io non consentirei mai che fossero tolti, quantunque fossi certo di perdervi la vita, perché cosí è obligato il prencipe a difender i suoi, come essi a ubbidire: or consideri se di volontà glieli darò". La qual risposta toccò in maniera al vivo l'animo di quei popoli, che non era alcuno che volentieri non avesse messo in ogni pericolo la vita per Ussuncassano. Con questo favore adunque egli tirò artificiosamente Giausa nelle campagne di Arsenga, nel qual luogo, venuto con lui alle mani, lo vinse e prese, seguendo suo figliuolo, che si salvò con la fuga fin sopra Tauris.
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