Seguitava adunque il re dall'altra riva i Turchi, per veder a che riusciva il disegno loro; ma come videro i Persiani che essi si erano discostati dall'Eufrate, chiesero con grande istanza a Ussuncassano d'essere passati oltra il fiume, poi che si conosceva che quella era una manifesta fuga di Turchi. Egli, benché contra sua voglia si piegasse a questo, perché come astuto, pratico e vecchio soldato nelle guerre si ricordava quel nobil precetto della disciplina militare, che ai nimici che fuggono si debbono lastricar le strade d'oro e far i ponti di argento, pur condiscese al fine nel voler de' suoi, per vedere a che devesse riuscire tanto ardore e tanto disiderio di battaglia. E cosí, scelti quarantamila soldati, i piú pronti di mano e arditi, passò l'Eufrate e a gran cammino si mise a seguitar l'esercito nimico, avendo lasciato oltra il fiume Calul, suo figliuolo primogenito, con tutti i Giorgiani e i Tartari, molti altri soldati a guardia delle bagaglie.
E alla fine d'agosto giunse sopra alcune montagne, di cima delle quali vide nella valle che menava verso Trebisonda l'esercito turchesco; e credendo per la fresca vittoria di poterlo facilmente superare e metter in fuga, s'ordinò a fatto d'arme. I Turchi, che si vedevano chiusa la strada e conoscevano che o bisognava che se l'aprissero con l'arme in mano o rimaner con molto disonor loro rotti e tagliati a pezzi, come aviene a quelli che sono in frangente di disperazione fecero della necessità virtú, e s'ordinarono anch'essi con grande ardire a battaglia.
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