Dove i Turchi, apparechiatisi a combatterla, tirarono alcune artigliarie sopra un alto monte che batteva la fortezza, dal quale quindici dí continui la bombardorono; e infino un capitano chiamato Darap, schiavo di Ezeimel, figliuolo di Ussuncassano, che l'aveva in guardia, intendendo la morte del suo signore si rese.
Da Carascar il campo marchiò a Coliasar, città che, non volendo far prova delle sue forze contra cosí gagliardo nimico, si rese anch'ella. In tanto giunsero nuove al Turco che Ussuncassano rimetteva l'esercito, con animo di ributtar, se poteva, i nimici fuori del paese; per la qual cosa non gli parve di proceder piú avanti, per non entrar in quelli pericoli da' quali non potesse poi uscire. Dato adunque volta, ritornò a grandissimo cammino in Sevas e poi in Tocato; nel qual luogo era l'ambasciator del re d'Ungheria, che con molte simulate parole fin a quel punto aveva intertenuto, dicendogli che voleva prima liberarsi dalla guerra di Persia, e poi che conchiuderebbe la pace col suo re, che ne lo richiedeva: il che fece egli tutto ad antiveduto fine, acciò che in quel frangente l'arme unghere non lo molestassero. Ma, vedutosi poi su la vittoria, lo licenziò senza conchiusione: con la quale arte il re unghero fu con suo gran danno e di tutta la cristianità ingannato, perché, s'egli si fosse valuto di quella occasione, non è dubbio che con pochissime forze averebbe non solo cacciato i Turchi di Grecia, ma messo in terror tutta l'Asia.
Spedita nella maniera che s'è detto la guerra persiana, il Turco tornò con molto trionfo a Costantinopoli, lasciando Mustafà al suo sangiacato, che poco dapoi si morí. E Acomat bascià con buon esercito andò alla volta di Laranto, città del signor caramano, posta appresso il monte Tauro, dove, fingendo buona pace e amistà co' paesani, assicurò a poco a poco i grandi, invitando quando questo quando quel con domestichezza e famigliarità a mangiar con seco.
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