Per la qual cosa, sendo di se stessi sicuri, gli uomini della terra non volsero dar il transito a Secheaidare, né pur lasciar entrar alcun de' suoi dentro, per sospetto preso delle genti che aveva con lui: e spacciando subito lettere e messi al re Alamur che gli facessero intender questa cosa, si apparecchiarono a difendersi se Secheaidare avesse voluto far forza di passare. Il re, grandemente commosso per questi motivi di Secheaidare, entrò in non picciola suspizione di lui, parendogli che egli, per il gran credito in che era e per aver il concorso di tanti uomini, e poi per essere d'una setta capo che era allora in molto conto in Persia, ma piú per le prede grosse che faceva e arricchiva quelli che lo seguitavano, e anco per la fama della sua santità, potesse farsi col tempo sí grande che gli levasse il regno e ne stabilisse uno a sua voglia fermo e saldo contra ogni sforzo d'arme.
Secheaidare, vedendosi vietar il passo, sdegnato forte contra quelli di Berbento, cominciò a combatter la terra e a porre ogni sua forza per averla nelle mani; di che avisato Alamur, non gli parve piú di star a bada, acciò che il troppo indugio non gli fosse cagione di qualche ruina. Raccolto adunque prestamente l'esercito, si mosse alla volta di Berbento e marchiò con diligenza, giungendo a tempo in soccorso de' suoi. Secheaidare, come vide comparir l'esercito di Alamur, lasciato di oppugnar la terra si voltò in ordinanza contra di lui; e appiccatasi la zuffa d'ambi i lati molto feroce, si menò le mani parecchie ore bene, sí che non vi si discerneva chi ne avesse il meglio; in fine, soprafato Secheaidare dalla moltitudine de' nimici, rimase tagliato a pezzi, e i suoi anch'essi, benché fossero pochi, fecero nondimeno cose incredibili, e non ne scampò pur uno che non fusse morto o ferito a morte.
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