Noi lo giorno di Pasqua, detto l'officio e mangiato, come Dio volse, con gli due Tartari che n'erano stati assegnati da Corenza con molte lagrime se partimmo, non sapendo d'andar o a morte o a vita; ed eramo tanto debili che appena potevamo cavalcare, conciosiaché in tutta la quadragesima fu il nostro cibo miglio con aqua e sale solamente, il medesimo nelli altri giorni da digiunare, né avevamo altro da bere che neve risolta nel caldaio. Il nostro cammino era per Comania, cavalcando fortissimamente, conciosia non mancasse da mutar cavalli cinque e piú fiate al giorno, salvo quando camminavamo per li deserti; ma allora toglievamo cavalli migliori e piú forti, che potessero sostenire la continua fatica. E questo dal cominciar della settuagesima fino all'ottava di Pasqua.
Tal paese di Comania da l'aquilone immediate poi la Rossia ha li Mordvini, Byleri, cioè la gran Bulgaria, li Bastarchi, cioè la grande Ungaria, poi li Parositi, Samoedi, quelli che si dice aver la faccia di cane. Nelli liti deserti del mare da mezogiorno li Alani, Circassi, Gazari, la Grecia, Constantinopoli, la terra d'Iberi, li Catii, Brutachii, li quali dicono esser giudei, che si radono tutta la testa; il paese de' Cithii, Giorgiani, Armeni e Turchi. Da l'occidente, l'Ungaria e Rossia. È Comania terra grandissima e longa, li popoli della quale li Tartari hanno destrutta, benché altri scamporno che poi son tornati e fatti suoi servi. Poi intrammo nella terra de' Kangiti, la quale in molti lochi ha grande carestia d'acqua, e dove pochi abitano, non gli essendo acque.
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