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      Ma il Signor Dio proviste a noi, che un lavoratore d'un Ruteno, per nome detto Cosma, molto amato dall'imperatore, alquanto ne sustentò. Costui ne mostrò la sedia dell'imperatore, che aveva fatta nanti che fosse incoronato, e il suo sigillo, che eziandio aveva lavorato.
      Poi l'imperatore mandò per noi e fece dir per lo suo protonotario Chyngay che volessimo scriver li nostri fatti e porgerli a quello, la qual cosa fu esequita. Passati molti giorni, un'altra fiata ne fece chiamare e interrogò se fosse appresso il papa nostro alcuno che sapesse intender lingua o tartaresca o saracina o rutena; al quale rispondemmo che niuna di queste lettere avevamo, ma che ne pareva espediente scrivessero i Saraceni in tartaresco e ne interpretassero, che noi in lingua nostra poi transferiressimo, e che cosí la lettera con la interpretazione fosse portata al papa nostro. Allora, partiti da noi, andorno all'imperatore, ma nel giorno di s. Martino fummo chiamati: incontinente Kadach, procurator di tutto l'imperio, e Chinghay e Bala e molti altri scrittori vennero da noi e ne interpretarono la lettera di parola in parola; e poi che scrivessimo in lingua latina, facevano interpretar di parte in parte un'altra fiata, volendo saper se avessimo fallato in qualche parola. Scritte adonque ambedoi le lettere, fecero noi una e due fiate leggere, acciò non fosse cosa alcuna di manco, e dissero: "Vedete che tutto ben abbiate inteso, conciosia, non intendendo voi ciò che è scritto, sarebbe vano". E però scrissero lettere in saracino, acciò nelle parti nostre, se fosse bisogno, trovassimo alcuno che le potesse leggere.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quarto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 837

   





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