La qual cosa non ne fo ascosa, ma nientedimanco non volessino far parole.
Come ritornarono dal viaggio.
Cap. 37.
Allora prendemmo cammino verso le nostre parti, e per tutta la vernata venimmo giacendo per deserti, spesse fiate nella neve, salvo quel loco che ci potevamo fare col piede. Lí certo non sono arbori, ma pianura, e spesso la mattina ci trovammo coperti di neve che la notte il vento gettava. Cosí camminando fino all'Ascensione pervenimmo dal Baty; e dimandato se cosa alcuna volesse scriver al papa, rispose niente piú di quello che aveva scritto l'imperatore, e date lettere di salvocondutto ci partimmo da quello. E il sabbato infra l'ottava delle Pentecoste arrivammo dal Moncii, dove erano stati ritenuti li nostri compagni e servidori. Cosí, ricevuti quelli, andammo alla via nostra insino a Corenza, e dimandati da quello presenti un'altra fiata, niente li dessimo, però che non avevamo. Furono dati a noi doi Comani, ch'erano della plebe de' Tartari, acciò ne conducessero per fin a Kionia di Rossia, ma lo nostro Tartaro non ci lasciò prima che non avessimo passato l'ultima guardia. Costoro che Corenza n'aveva dato ci condussero in sei giorni da l'ultima guardia a Kionia. Arrivammo adonque quivi quindici giorni nanti la festa di san Giovambattista, ma gli Kionesi, saputo la nostra venuta, tutti ci vennero incontra allegramente e si congratulavano con noi come se fossimo suscitati da morte a vita. Il medesimo fo fatto a noi per tutta Rossia, Polonia e Boemia. Daniel e Wasilicon suo fratello ne fecero gran festa, e contra il nostro voler ne tennero otto giorni.
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