Dopo quattro giorni frate Ascelino e frate Guiscardo vennero a corte e dissero a' baroni, mediante gli interpreti, che si volesse degnar il prince risponder al tenore delle lettere papali, e tosto licenziati volesse darli salvocondutto per il suo paese. Or alcuni baroni che s'intendevano col signore risposero: "L'altro giorno che eravate venuti a corte, intendemmo dal vostro parlare esservi partiti di cristianità per veder l'esercito de' Tartari; poi che tutto non è ancor ragunato insieme né quello avete veduto, non fa bisogno d'esser licenziati da corte né partirvi di qui". Alle qual parole rispose frate Ascelino: "Sí come nel primo giorno piú fiate sopra questo detto vi rispondemmo, non siamo venuti qui prima per veder il vostro esercito, ma portar le lettere del nostro signor papa e darli risposta, quantunque senza dubio alcuno conseguiti per questa venuta veder voi e il vostro esercito". Allora partendosi li baroni e promettendo ciò ricordare a Baiothnoy e con celerità darli risposta, espettarono li frati dalla mattina al gran fervor del sole fino a nona; e ultimamente senza risposta alcuna ritornorno alla loro stanza. Cosí spesse fiate frequentando li altri giorni alla corte per aver licenzia d'andare, furno scherniti da' Tartari e riputati da quelli como vilissimi garzoncelli, né degni d'aver risposta, anzi come cani. Per tanto molte volte e quasi ogni giorno givano a corte, e da prima sino a sesta, e tal fiata a nona, in quel gran caldo del mese di giugno e luglio senza coperta alcuna dimoravano, chiedendo risposta o licenzia; ma non sendo tenuti degni pur di parlare con essi, sempre ritornavano al loro alloggiamento digiuni e affamati.
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