All'assedio della qual postosi il mastro con l'esercito tutto, non cessava di batter di continuo le sue mura; ma non potendola né col batterla né con i spessi assalti superarla, l'ebbe per la carestia delle cose da vivere nelle mani, percioché l'ottavo giorno dell'assedio, vedendo l'arcivescovo i suoi morir di fame, fece aprir le porte e dettesi a' nemici a discrezione. La qual pochissima fu nel petto del mastro, percioché, non risguardando che egli compagno gli era nel governo di Riga e della provincia tutta, che da cosí nobil sangue discendeva e che di cosí alta degnità ecclesiastica era ornato, come se un barbaro stato fosse lo trattò, e vituperatolo con indegne parole e vergognose lo privò de tutti i suoi castelli e ville, e cacciatolo pregione un anno ve lo tenne.
Seppe il re di Polonia Sigismondo Augusto questo successo dal marascalco dell'ordine, che dal mastro per aver egli dissuasa questa guerra era stato scacciato; e compassionando il caso del nepote, mandò un ambasciator in Livonia, esortando il mastro a liberare l'arcivescovo suo nepote di pregione e a venir con esso a qualche giusto accordo. Ma non volendo egli a questo acconsentire, li fece il re denonciar la guerra; alla qual nuova mandò il mastro gran tesoro in Alemagna per assoldar cavallaria e fanti, di dove li fur condotte in Livonia alquanti mila cavalli e insegne sei di fantaria. All'incontro il re, non perdendo punto di tempo, passò in Livonia con centomila combattenti tra cavallaria e fantaria e con molta artegliaria e altro bellico apparato.
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