Lo venne il mastro ad incontrare con tutte le sue forze, avendo nel suo esercito settemila cavalli e sei insegne di fantaria, di Germania venutili, gli tre vescovi detti di sopra con quanta gente avean potuta fare e molti migliara de contadini di Livonia. Ma scoperto che egli ebbe l'esercito regio e conosciutolo tanto potente, perse la speranza d'averne vittoria e mandò per suoi ambasciadori a domandar la pace al re, che in persona in quello esercito si ritrovava. Con somma clemenzia e benignità li fu dal re risposto con parole di questo tenore, che se egli non risguardasse a' danni che in questa guerra erano per patire le povere vedove, orfani e pupilli e tutto il popol minuto, che di tutto questo male era innocente, e a' quali esso avea compassione, che mai col mastro pace farebbe. "Ma accioché egli, - disse il re, - conosca che io del sangue umano non ho punto sete, venghi, se la pace brama, in termine decedotto ore qui in campo a ritrovarmi, seco il prencipe e arcivescovo di Riga conducendo, e alora i patti della pace e accordo trattaremo". Avuta ch'ebbe il mastro dell'ordine questa risposta, fece subbito liberare l'arcivescovo di pregione, percioché egli era poco indi lontano, e insieme con lui, accompagnati da trecento nobili senza arme, alla presenza del re Sigismondo si condusse. Ove dopo l'essersi dagli uni e dagli altri lungamente trattato sopra i capitoli dell'accordo, a questa conclusione finalmente vennero: che il mastro dovesse ritornare l'arcivescovo nel pristino stato e darli il libero possesso de' suoi luochi, pagandoli in oltre tutto il danno e spesa che per cagione di questa guerra l'avea sforzato a patire, e che al re di Polonia rimborsciase il denaro che egli in dar le paghe a' soldati speso aveva.
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