Questo fatto essendo veduto dal duca Enrico, disse: "Gorce se nam stalo", cioè: peggio e piú molestamente ci è accaduto; e avendo spinta la quarta squadra de' suoi fortissimi soldati, in poco d'ora abbatté e ruinò i già quasi ruinati e abbattuti tre squadroni de' Tartari, i quali erano già volti alla fuga. Ora la quarta schiera de' Tartari, piú grande di tutte, sopravenendo, il capitano Peta con orribilissimo impeto entrò nella battaglia, la quale fu lunga e crudelissima. Ma essendo quasi inclinati i Tartari al voler fuggire, un certo alfiere tartaro cominciò a sbatter una grandissima insegna che egli portava, nella quale era depinta quella lettera greca X e in cima della asta una imagine d'un negrissimo e bruttissimo colore, con la barba lunga, alla quale facendo tremare il capo strettamente incantava: dal qual subbito una nebbia e fumo d'un fetido e intollerando ardore si sparse sopra le squadre de' Poloni, perché allora, dal fumo quasi sentendosi morire, in tutto si resero inabili al combattere. Ora i Tartari, ciò vedendo, levato un grandissimo e orrendo grido, avendo dato volta le squadre de' Poloni che erano ancora intiere, le ruinano e fracassano. Nel qual conflitto Boleslavo, figliuolo del gran marchese di Moravia, e Pompone, gran maestro de' crocicchieri di Prussia, con pur assai segnalati soldati furono morti. Al duca Enrico era stato fatto cerchio, sí che di dietro e d'avanti era percosso; e intorno a lui ultimamente soli quattro erano rimasi, Sulislavo, fratello di Vladomiro cracoviense, Clemente, palatino glogoviense, Conrado Konrathovicz e Giovanni Ioannoviz, i quali con quanta forza avevano lo ridussero fuori della battaglia, esortandolo alla fuga, ma il cavallo del duca ferito non poteva andar avanti.
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