L'altro seguente giorno l'admirante mandò un altro nunzio detto Marchiò di Sibilia al detto re, al quale levato via la fascia dalla gamba, trovò non avere ferita alcuna né segno di ferita; pur trovò che era in letto mostrando d'essere ammalato, il letto del quale era congiunto con altri sette letti di sue concubine. Onde incominciò a sospettare l'admirante e gli altri che li nostri fussero stati morti per consiglio e volontà di costui. Nondimeno, dissimulando, Marchiò messe ordine con lui che 'l seguente giorno venisse a visitare l'admirante alle navi. Il quale, arrivato alle navi, come avevano ordinato, fece buona cera e gran carezze alli nostri, facendo loro alcuni presenti, e molto si escusò della morte delli nostri. In questo mezzo, vista una delle femine cavata dalle mani delli canibali, la qual li nostri chiamavan Caterina, gli fece festa e parlò con essa molto amorosamente. Dapoi, domandato all'admirante licenzia, si partí, non senza grande admirazione per aver visto cavalli e altre cose a sé incognite. Furono alcuni che consigliavano che 'l si dovesse ritenere e far che confessasse come li nostri erano stati morti, e se si fusse trovato che lui fusse stato in causa, se gli facesse portar la debita pena; ma l'admirante considerò che non era tempo di irritar gli animi di quelli dell'isola.
Il giorno seguente il fratel di questo re venne alle navi, e parlò con le femine sopradette e le sviò, come mostrò l'esito della cosa; perché la notte sequente quella Caterina, per liberarsi di cattività o per persuasione del re, si gittò in mare con sette altre femine tutte invitate da lei, e seguitando un fuoco che si vedeva sopra il lito, passorono circa tre miglia di mare, ancor che fusse turbato.
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