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      E fu il successo di questa cosa a questo modo. Il commendator maggiore, fatta che ebbe la fortezza di questa città, la diede in guardia ad un suo nepote, chiamato Diego Lopes di Salsedo, buon cavaliero. Ma Cristoforo di Tapia ne scrisse subito al vescovo suo signore, col cui favore ottenne d'esserne fatto castellano, e ne presentò la provisione che gli venne di Spagna al commendator maggiore, il quale se la pose in testa e disse che quanto al porla in esecuzione ne informarebbe il re catolico, e poi farebbe quello che fusse il servigio di Sua Maestà. E cosí, non dando altramente il possesso della fortezza a costui, scrisse al re che il Tapia era soprastante al fondere dell'oro, e gli bastava quello ufficio, senza avere questa castellaneria. Il re sospese quella grazia fatta al Tapia, perché il commendator maggiore allegava anco che aveva egli quella fortezza fatta, e che aveva prima avuto grazia che, mentre egli era nel governo di questa isola, disponesse delli castelli e fortezze che vi fussero, onde non doveva il re innovare questa cosa in suo pregiudizio, poiché l'aveva assai ben servito.
      Appresso poi stette il Tapia prigione nella medesima fortezza, per alcune parole ch'egli disse contra il commendator maggiore. E perché questo negozio toccava a lui e a Diego Lopes suo nepote, che aveva le chiavi della fortezza, ordinò al suo giustiziero maggiore, Alonso Maldonato, che prendesse informazione delle discortesi parole del Tapia contra di lui e ne facesse la giustizia. Alonso, presa l'informazione, la mandò insieme col Tapia in Spagna.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260

   





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