E per tutti gli angoli e canali si veggono di passo in passo sparse e nate certe spine fiere e acute, cosí lunghe quanto è la metà del maggiore deto della mano e piú, e stanno queste spine a tre a tre e a quattro a quattro. Fra queste foglie o rami nasce questo frutto chiamato pithaia, che è rossissimo, come un carmesino rosato, e ha come certe squame segnate su la scorza, che nel vero non vi sono; e ha una certa scorza grossa, ma che facilmente con un coltello si taglia; e dentro sta pieno di granelli come un fico, mischiati con la carnosità del frutto. E tanto questa come quelli sono di colore d'un fino carmisino, e si mangia tutta questa mistura con tutti i granelli. Quello che viene da questa mistura tocco, resta cosí tinto in rosso come lo sogliono i celsi nel fare, o piú.
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Questo è un sano frutto e al gusto di molti piace, ma io eleggerei degli altri piú tosto che questo, il quale fa nell'urinare quello effetto che fa la tuna, che è un altro frutto del quale qui appresso si parlerà; ma nol fa cosí presto, perché due ore doppo che ha l'uomo due o tre di questi frutti mangiato fa l'urina che pare un vero sangue. Non è cattivo frutto né dannoso, ed è molto vago alla vista, ma i cardoni dove essi nascono è una cosa fiera e orrida; i cardoni sono verdi e le spine berrettine o bianchette, e il frutto rosso, come s'è detto, e nella forma che s'è qui lineato. Chi vuole torre una pithaia del cardo dove ella è nata non bisogna aver fretta, ma usarvi avertenza, perché quelli cardi pungenti son molti e ristretti insieme e bene armati.
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