In questa isola non sapevano gl'Indiani fare questo veleno né l'usavano, e per questo non ne parlerò qui, finché si ragionerà della costiera de' Caribi. Il frutto però è certo di sorte che non è uomo che 'l vegga che, non conoscendolo, non desideri di saturarsene, perché alla vista e l'odore ce l'invitano. Ma, perché meglio il suo veleno s'intenda, dico che l'hanno molti molte volte provato che, gettandosi improvvisamente a dormire sotto questi alberi, non conoscendoli, se ne sono fra poco spazio desti e levati su con grandissimo dolor di testa, e con gli occhi e con le ciglia e con le mascelle gonfie. E se per caso la rugiada di questo albero tocca nel viso dell'uomo, vi fa quello effetto che vi farebbe il fuoco, perché gonfia e brucia la pelle quanto giunge. E se toccasse negli occhi, o li crepa o li accieca o li pone in grande affanno e pericolo di perderli. Non è chi possa per molto spazio soffrire di stare da presso al fuoco di questo legno acceso, perché se ne causa tosto tanta gravezza e dolore di testa, che bisogna che quanti intorno vi si ritrovano si facciano tosto a dietro, tanto essendo uomini quanto qual si voglia altro animale.
Dell'albero che qui si tiene per la tamarice, e lo somiglia molto.
Cap. XIII.
L'albero della tamarice è molto noto in Spagna, e io l'ho veduto molte volte in Castiglia nella riviera del fiume Tago e in quella di Sciarama e in quella del Duoro e d'Ibero, e in quella anco di Guadiana e in molte altre. Ma quanti ne ho io là veduti, tutti sono assai piccioli rispetto alla grandezza di questi che qui sono, e che hanno assai alti e grossi rami; ma nelle foglie non sono punto differenti dalle tamarici di Spagna che ho dette.
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