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      Quando s'accostano alle navi vanno assai presso alla superficie della acqua, di modo che chiaramente si veggono. Allora lasciano andare i marinai da poppa uno amo grosso, con catena come è il maggior deto della mano, e lungo un palmo e mezzo o piú, con la sua incurvatura come la sogliono gli ami avere, e con l'orecchielle proporzionate alla sua grandezza. E in capo dell'astile dell'amo sono tre o quattro grossi catenelli di ferro o piú, e all'ultimo di loro sta legata una corda grossa di canapa quanto è due volte e tre l'amo, nel quale pongono per esca un gran pezzo di pesce o di prosciuto o di qual si voglia altra carne, o un pezzo di un altro tiburone cotto, se l'hanno prima morto; perché in un dí stesso ho io veduto prenderne dieci, e non ammazzarne tanti quanti averebbono potuto.
      Ritornando al modo come li pescano e prendono, dico che va la nave con tutte le sue vele correndo, e questi tiburoni vanno molto piú, per buon tempo che la nave abbia, e vanno quasi sopra acqua, seguendo e mangiando l'immondizie che dalla nave si buttano. Ed è cosí disciolto e destro questo pesce, che dà d'intorno alla nave tutti li giri che egli vuole, e passa innanzi e torna a dietro cosí facilmente e con tanta agevolezza, che con tanta maggior velocità e corso corre che non la nave, con quanta correrebbe un disciolto e destro uomo piú che un fanciullo di quattro anni. E accade alle volte di seguire la nave senza lasciarla mai dugento leghe e piú, e cosí potrebbe anco seguirla tutto quel camino che volesse.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260