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      Ora, strascinandosi l'amo da poppa, come s'è detto, il tiburone, che vede l'esca, la inghiotte con tutto l'amo; e volendosi con la caccia isviare e partire, col tirare della nave gli s'attraversa nella gola l'amo, e passandoli una mascella lo fa restare prigione; e ne sono alcuni di loro cosí grandi che vi bisognano 12 e 15 uomini per porlo in nave. Quando egli si vede preso, dà con la coda cosí fatti colpi alla nave che pare che voglia spezzarla e porne le tavole dentro. Ma salito e posto che l'hanno sopra coverta, prestamente un marinaio li dà con la testa d'una accetta sul capo tali colpi, che lo fa presto morire.
      Ve ne sono alcuni di 12 piedi e piú lunghi, e sono grossi per mezzo del corpo sei e sette palmi in tondo e piú; hanno assai gran bocca a proporzion del corpo, e la maggior parte di loro hanno due ordini di denti continovati intorno l'un presso l'altro: ma ogni ordine e giro di questi denti è da per sé distinto, e gli hanno spessi e fieri, e fatti a punto un medesimo dente, come a serra o a merli.
      Doppo che il tiburone è morto ne fanno pezzi sottili, e lo pongono ad asciugare all'aere, per le corde delle sarti della nave, per due o tre giorni o piú; e poi se li mangiano bolliti o arrosti e con salsa fatta con agli. Ne mangiano anco fresco, e io ne ho dell'una maniera e dell'altra mangiato; ma li piccioli, che li chiamano hachete, sono migliori. Ed è un buon pesce per le genti di mare, e una buona monizione per molti giorni, per essere cosí grandi; ma non è cosí buono per li passaggieri e per le persone non use al mare.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260