E seguendo diceva che allora, per l'estrema necessità che avevano dell'acqua, erano smontati in terra per chiederla a quelli Indiani del popolo di Lazaro, pregandoli che gliela vendessino o cambiassino con alcune delle loro cose che essi portavano, per lasciarli contenti e non alterarli, e perché i cristiani non ricevessero danno nel prenderla. E perciò comandava loro di nuovo e li pregava e richiedeva, sotto le pene che avea già poste, che niuno si disordinasse, né uscisse dal suo luogo per parlare né contrattare con gl'Indiani né per qualsivoglia altra cosa senza sua espressa licenzia, perché facendo cosí si farebbe quello che Sua Maestà voleva; e col contrario incorrerebbono nelle pene già poste e bandite, le quali si sarebbono tosto rigorosamente esequite contra colui che disubidito avesse, che già di altra maniera non si poteva effettuare quello che tutti desideravano. Mentre che questo ragionamento si fece, gli Indiani già tuttavia perseveravano nelle loro fierezze e minaccie, volendo mostrare di volere combattere e assalire i nostri. Allora il capitano ordinò a Giuliano l'interprete, che era nativo di quella stessa isola, che chiamasse gli Indiani e dicesse loro che i cristiani non venivano a far loro male né danno alcuno, ma ad essere loro amici e a dar loro di quello che portavano.
Quando gl'Indiani intesero questo, s'accostarono alcuni di loro presso i nostri, e l'interprete ritornò a dire loro il medesimo, e che i cristiani non volevano entrare nella loro terra se loro non piacesse, né volevano altro che acqua per le genti delle navi, e gliela pagarebbono, e che perciò andassero a dirlo al loro calachuni o caciche.
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