Libro decimo ottavo
Proemio
Quelli che si sono occupati in scrivere, come io ora faccio, e in dare notizia al mondo d'alcune cose naturali e non conosciute, se non col mezzo di coloro che l'andarono inquirendo e cercando, si sono sempre a molti pericoli esposti per potere vederle e considerarle, perché chi in simile impresa si pone bisogna correre il mare e la terra e passare per varie regioni cosí differenti come è la natural composizione degli elementi, e correre nelli tanti inconvenienti che nella varietà di tante terre e di tanti mari si trova forzatamente, come sono i differenziati cibi e acque che per tutto si trovano, con la varietà della disposizione dell'aere e temperamenti de' boschi e de' piani; onde vanno costoro non sani né al proposito loro, senza che non sono di poco momento e pericolo i tigri, i leoni, i serpenti e altri tanti animali e occasioni nocive, con altre infinite difficoltà che non si potrebbono in cosí brevi versi esprimere. E ancorché di cosí fatti pericoli fosse esente colui che in tale esercizio si pone, come potrebbe egli la lingua de' mormoratori fuggire? I quali, se ben parlano di quello che non intendono, e riprendono quello che non sanno né fare saprebbono, e che male grazie rendono a chi ha lor dato notizia di quello che non sapevano, non per questo restano mai di mordere chi perciò merita di essere ringraziato e che non gli offende.
Ritrovandomi io adunque in questi travagli e riprensioni, non resterò già per questo di scrivere senza timore alcuno quello che io ho veduto e inteso di queste maravigliose istorie, cosí nuove e cosí degne d'essere udite.
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