E già avevano perduto l'oro e le gioie e le vesti, e molte altre cose che noi cavamo fuori, e tutte l'arteglierie. Ragunai quegli che erano rimasti vivi e comandai che essi andassero avanti, e io, accompagnato da forse cinque a cavallo e settanta fanti, che avevano avuto ardire di restar meco, rimasi dopo loro, sempre combattendo co' nemici, finché arrivammo ad una certa città nominata Catacuba, la quale è posta fuori oltra tutta la strada mattonata. Dove Iddio mi è testimonio quanta fatica e pericolo io sostenessi, percioché, ogni volta che andavo addosso a' nemici, ne ritornavo pieno di freccie e percosso da ogni banda da' bastoni e da' sassi, conciosiaché dall'uno e l'altro lato vi fusse il lago, e coloro che erano nelle canoe sicuramente ne potevano ferire, e quegli che pigliavano terra, subito che andavo loro adosso, si gettavano in acqua e a quel modo pativano poco danno, se non alcuni che, essendo la moltitudine grandissima e l'uno urtando l'altro, cadevano e s'uccidevano. Con tal fatica e travaglio gli condusse tutti alla detta città, che non ferirono se non uno a cavallo che veniva dopo me. E combattevasi con grande sforzo per fronte e per fianchi, ma con maggior impeto alla coda, percioché la moltitudine che era nella città sempre sottentrava a combattere piú fresca.
Il contrasto ch'ebbe il Cortese partendosi di Catacuba, e fortificatisi in un colle furono longamente combattuti. Il numero degli Spagnuoli e suoi Indiani e Indiane che si trovarono mancare. Il figliuolo e figliuole del Montezuma furono uccisi.
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