E perché quelle genti non si potevano pigliar senza pericolo, e vedendo di non poter ottener quella vittoria, ci partimmo de lí con grandissimo dispiacere e andammo ad alloggiare ad un'altra terra appresso il detto monte, dove patimmo grandemente, percioché quivi non potemmo trovare acqua, e tutto quel giorno né noi né gli cavalli ne toccammo goccia. E cosí stemmo tutta quella notte, sentendo timpani e corni e gridi.
Come, dato l'assalto ad un altro erto e difficil monte, quelli che v'erano sopra s'arrenderono, e parimente quelli ch'erano su l'altro monte vennero a dimandar perdono. Come serrorno i nemici in una terra detta Giluteque e molti ne uccisero, poi misero fuoco in la terra. Quelli di Iattepeque vennero a pregar il Cortese che perdonasse loro i commessi errori.
Essendo venuta l'alba, io insieme con certi capitani vedemmo un monte che non era meno erto del primo: egli aveva le rupi certamente piú alte, nondimeno non difficili a salire, dove molte genti atte a combattere stavano per vietare chiunque avesse voluto salirvi. E li capitani e io, con altri gentiluomini che si trovavano presenti, pigliate le rotelle, a piedi (percioché aveano condotti i cavalli per dar loro da bevere lontano una lega da quel luogo) andammo insin là per vedere almeno il sito del monte e donde lo potessimo combattere, e gli altri, benché non fusse loro commesso cosa alcuna, cominciarono a seguirne. Subito che arrivammo al monte, coloro che stavano su le rupe, pensandosi che io volessi dar l'assalto nel mezzo, lasciarono le rupi per dar soccorso ai loro.
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Giluteque Iattepeque Cortese
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