Il giorno sequente, dopo la messa, e poiché ebbi data la informazione a' capitani di quello che avevano da fare, me n'uscii de' nostri alloggiamenti accompagnato dalla gente a cavallo e da trecento fanti spagnuoli e da tutti gl'Indiani amici nostri, il cui numero era infinito. E andando per la via mattonata, lontano tre tiri di balestra gli nemici già n'aspettavano con grandissimi gridi, e perché già erano passati tre giorni che noi non avevamo combattuto con loro, aveano disfatti e voti tutti quei luoghi che noi aveamo ripieni, ed erano piú difficili da espugnare che prima non erano. Ed essendo i brigantini arrivati dall'uno e l'altro lato della via, e potendo con essi andare piú appresso con le artiglierie, con gli schioppetti e con le balestre, facevamo loro grandissimo danno. Vedendo questo, saltammo in terra e pigliammo l'argine insieme col ponte, e cominciammo andare innanzi e seguitar gli nemici; ma essi si fortificavano negli altri ponti e argini che aveano fatti, i quali prendemmo con maggior fatica e pericolo che l'altra volta, e gli cacciammo della contrada, della piazza e di quelle gran case della città. E allora comandai agli Spagnuoli che non procedessero piú avanti, percioché io coi miei riempievo di sassi e di mattoni il passo dove scorreva l'acqua, in che era grandissima fatica, conciosiaché, se ben a tal cosa v'attendevano a lavorar diecimila Indiani amici nostri, nondimeno fu ora di vespero avanti che fusse finita. In quel mezzo gli Spagnuoli e i nostri Indiani combatterono sempre coi nemici, facendo loro insidie, onde ne uccisero molti.
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