Altre volte mi faceano rader pelli e intenerirle, e la maggior prosperità ch'io avessi tra loro era il dí che mi davano a rader qualche cuoio, perché lo radevo molto e mangiavo di quelle raditure, e quello mi bastava per due o tre giorni. Ci avenne ancora con questi e con gli altri che avevamo lasciati adietro che, dandoci essi un pezzo di carne, ce la mangiavamo cruda, perché, se l'avessimo posta a cuocere, il primo di loro che fusse arrivato ce la avrebbe tolta e mangiatola, onde ci pareva che non fusse bene d'arrischiarla a questo pericolo, oltre che noi non stavamo di sorte che ci dessimo pensieri di volerla mangiare piú cotta che cruda. Questa fu la vita che con questi Indi passammo, e quel poco sostentamento che avevamo ce lo guadagnavamo con cosette che facevamo con le nostre mani.
Dipoi che noi avemmo mangiati quei cani, parendoci d'aver qualche vigore da poter passare avanti, ci raccomandammo a Dio nostro Signore che ci guidasse e ci spedimmo da quegl'Indi, ed essi ci menarono ad altri della lor lingua che stavano quivi vicini. E cosí andando piovve tutto quel giorno, e oltre a ciò smarrimmo il camino e fummo a fermarci ad un monte molto grande, dove cogliemmo molte foglie di tune, e le cocemmo quella notte in un forno che facemmo, e demmo loro tanto fuoco che la mattina stavano da poterle mangiare; e doppo l'averle mangiate ci raccomandammo a Dio e ce ne andammo, e ritrovammo il cammino che avevamo smarrito. E passando il monte trovammo altre case degl'Indi, e arrivati vi vedemmo due donne e alcuni fanciulli, che andavano per quel monte: e vedendoci si spaventarono, e fuggirono a chiamare gl'Indi loro che andavano per il monte.
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Dio Dio
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