Noi conoscemmo che, dovunque fusse venuto, dovea quivi esser l'arte di fondere e di tragettare.
E con questo ci partimmo il dí seguente, e attraversammo un monte di sette leghe, e le pietre che vi erano eran di schiuma di ferro. E la sera arrivammo a molte case che eran poste alla riviera d'un vaghissimo fiume, e i signori di quelle uscirono a mezza strada a riceverne con i lor figliuoli in braccio, e ci diedero molti ligazetti d'argento e d'antimonio macinato, col quale essi s'ungono il viso, e diederci molte corone e molte mante di vacca, e caricarono tutti quei che venivano con noi di quanto essi aveano. Mangiavano tune e pignuoli: sono per quei luoghi pini piccioli, le cui pigne sono come uova piccole, ma i lor pignuoli sono migliori che quei di Castiglia, perché hanno le scorze molto sottili, e quando son verdi li macinano e ne fanno pallotte, e se sono secchi li macinano con le scorze e li mangiano in polvere. E quei che quivi ci riceveano, come ci aveano toccati, si voltavano correndo verso le lor case, e subito ritornavano verso di noi altri, e cosí non restavano di correre andando e venendo di continuo, e in questa guisa ci portavano molte cose per il nostro cammino. Qui mi menarono un uomo, e mi dissero che era molto tempo che era stato ferito d'una frezza nella spalla dritta, e avea la punta della frezza sopra il cuore, e dicea che gli dava molta pena e che per quello stava sempre infermo. Io lo toccai e sentii la ponta della frezza, e conobbi che la teneva attraversata per la ternilla, e con un cortello ch'io avevo gli tagliai la carne e aprigli il petto insino a quella parte dove viddi la ponta attraversata, e viddi che era molto malagevole a cavarsi; tornai a tagliar piú e ficcai la ponta del cortello, e con gran travaglio finalmente la cavai, che era molto lunga, e con un osso di cervo, usando l'uficio mio di medicina, gli diedi duoi ponti.
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Castiglia
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