E insieme con ciò portavamo apparecchiate le gomene e l'ancore, e con ogni diligenza il pilotto maggiore comandava che si desse fondo, e in questo modo passavamo i nostri travagli; e altre volte, col veder venire il vento cosí impetuoso, e non essere noi surti in parte sicura, con ogni prestezza faceva levar via l'ancore e seguire il cammino dove ci guidava il vento. E in questa maniera ce ne passammo quelli otto giorni, ritornando adietro di notte quel cammino che avevamo fatto il giorno, e altre volte tornando a camminare di notte quel che avevamo disavanzato il dí, non senza gran desiderio di tutti d'aver a vedere vento che ci portasse innanzi al nostro viaggio, afflitti dai travagli che pativamo di tuoni, fulgori e acqua, di che eravamo tutti bagnati di sopra e di sotto, per le fatiche che facevamo in levare e mettere l'ancore secondo che ci pareva dover essere il bisogno. E una notte di queste, che fece una oscurità grande e tempesta e vento con acqua, per il che pensammo di dover perire, essendo massimamente vicini a terra, pregammo Iddio che si degnasse d'aiutarci e salvarci, senza por mente ai nostri peccati: vedemmo incontanente sopra la gabbia della Trinità una candela, che dava di sé uno splendore e lume che ci rallegrò tutti infinitamente, e tanto che non ci saziavamo di dare grazie a Dio, onde ci confirmammo nell'animo che per sua clemenzia ci avesse da guidare e salvare, e che non avevamo da perire. Sí come avenne, perché l'altro dí avemmo buon tempo, e tutti i marinari dissero che quella fu la luce di santo Ermo che era apparsa in su la gabbia, e la salutarono con i loro canti e orazioni.
| |
Iddio Trinità Dio Ermo
|