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      Ammazzammo similmente un conello berrettino naturale, come quel della Nuova Spagna, e un altro nero come ebano. Nelle capanne piú di sopra, al paro dove ci si roppe il canape, trovammo quantità di pigne aperte, che al parer mio dovevano gli Indiani averle colte per mangiare i pinochi di quelle. Il lunedí a' ventitre del detto mese noi stemmo surti, pigliandoci piacere e sollazzo col pescare, e cominciò a soffiare il vento maestrale, il quale crebbe tanto da poco innanzi la mezzanotte che era cosa di gran maraviglia, in modo che, quantunque fussimo a coperta di quella isola e molto difesi da questo vento, nondimeno era cosí foribondo, e il mare s'era tanto turbato e travagliato, che conquassava molto le navi, e stavamo in gran paura che non ci si rompessero i canapi, dei quali invero avevamo bisogno grande, imperoché, avendo consumato piú tempo in questo viaggio che non ci pensavamo, ci se ne erano rotti due e avevamo perdute due ancore, le migliori che ci fossero. Regnò questo vento cosí impetuoso fino all'altro giorno, che fu martedí a' ventiquattro, nel quale saltammo in terra con i frati, che ci dissero messa, e ci raccomandammo a Dio e la sua benedetta Madre, pregandola che le piacesse di soccorrerci e aiutarci con qualche buon tempo, per poter ire innanzi al nostro viaggio in parte che lo potessimo servire. E tuttavia erano i venti cosí gagliardi e furiosi che parea che i demonii si fossero sciolti per l'aere, e per questo i pilotti fecero calare tutti gli alberi al basso, accioché non pigliassero vento, e levar tutte le sarti, e fecero similmente disfare le camere delle poppe per allargare piú le strade in sicurezza delle navi, e con tutto ciò non restavamo di stare in gran travaglio.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Sesto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1486

   





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