E con questo gli lasciai e mi discostai un tratto o duoi di pietra, e quando ritornai trovai un Indiano mio ch'io menai da Messico, nominato Marco, il qual piangeva, e mi disse: "Padre, costoro si sono consigliati d'ammazzarci, perché dicono che per te e per Stefano sono stati morti i suoi padri, e che non ha da restar di tutti loro uomo né donna che non sia morto". Io tornai a repartire fra costoro alcune altre cose che mi restavano per mitigarli: con questo si placarono alquanto, ancorché tuttavia mostravano gran dolore per la gente ch'era stata morta. Io pregai alcuni di loro che volessero andar a Cevola, a vedere s'era scampato alcuno altro Indiano, e questo accioché sapessero alcuna nuova di Stefano, la qual cosa non potette impetrare da loro. Visto questo, io gli dissi che in ogni caso io volevo vedere la città di Cevola; mi dissero che niuno vorria venire con me, e alla fine, vedendomi determinato, duoi de' principali mi dissero che verriano meco, con li quali e con gli miei Indiani e interpreti seguitai il mio cammino fin alla vista di Cevola, la qual è posta in una pianura alla costa d'un monte ritondo, e fa una bella mostra di città, e piú bel sito d'alcuna che in queste parti io abbia veduto. Sono le case all'ordine secondo che gl'Indiani mi dissero, tutte di pietra, con gli suoi solari e terrazze, a quel che mi parve di vedere da un monte, dove mi posi a guardare la città.
La città è maggior che la città di Temistitan, la qual passa ventimila case; le genti sono quasi bianche, vanno vestiti e dormono in letti, tengono archi per arme; hanno molti smeraldi e altre gioie, ancor che non apprezzino se non turchese, con le quali adornano li pareti delli portali delle case e le vesti e li vasi, e si spende come moneta in tutto quel paese.
| |
Indiano Messico Marco Stefano Cevola Indiano Stefano Cevola Indiani Cevola Indiani Temistitan
|