Or giovedí nel far del giorno venivano gl'Indiani col medesimo grido alla riva del fiume, e con maggior volontà di servirci, portandomi da mangiare e faciendomi la medesima buona cera che mi avevano fatto gli altri, avendo inteso chi io ero, e dando loro le medesime croci col medesimo ordine che agli altri. E camminando poi piú in su, pervenni ad una terra dove trovai miglior ordine, percioché obediscono totalmente gli abitatori che vi sono ad un solo.
Or ritornando a parlare di nuovo con l'interprete dell'abitazioni di quei di Cevola, mi disse che quel signore aveva un cane simile a quel ch'io menavo. Volendo io poi mangiare, viddi questo interprete portar innanzi e indietro certi piatti, onde mi disse che il signor di Cevola n'aveva di simili anch'egli, ma che erano verdi, e che niun altro v'era che n'avesse se non il signore, e che erano quattro, i quali aveva avuti con quel cane e altre cose da un uomo nero che portava la barba; ma che egli non sapeva da qual banda fosse quivi capitato, e che il signore poi lo fece uccidere, per quanto egli aveva inteso dire. Gli domandai se sapeva che alcuna terra fosse quivi vicina; mi rispose che nel montare del fiume ne sapeva alcune, e che fra gli altri v'era un signore d'un luogo chiamato Chicama, e uno d'un'altra terra chiamata Coana, e che aveva sotto di loro molta gente. E dipoi, datomi questo aviso, mi chiese licenzia per potere ritornare dai suoi compagni.
Di qua mi posi a navigare di nuovo, e appresso ad una giornata trovai un luogo disabitato, dove essendo io entrato, sopravennero forse cinquecento Indiani con suoi archi e frezze, e insieme con loro era quel principale indiano detto Naguachato ch'io avevo lasciato, e mi portarono a donare certi conigli e yucas: e avendo fatti a tutti buona cera, volendo partirmi, gli diedi licenzia di ritornare alle lor case.
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