Ne restarono nella piazza morti duomila, senza i feriti. In questa battaglia si vidde una cosa maravigliosa, e fu che i cavalli, che il giorno innanzi non si potevano muovere per stare raffreddati e rappresi, andarono quel dí della battaglia con tanta furia che pareva che non avessero avuto mai male alcuno. Il capitan generale visitò quella notte le guardie e le sentinelle, ponendole in convenienti luoghi. La mattina seguente il governator mandò un capitano con trenta da cavallo a scorrere la campagna, e fece romper l'arme degl'Indiani; e in quel mezzo i cristiani che erano restati nella città fecero dagl'Indiani prigioni cavar via i morti dalle piazze. Il capitano con li suoi da cavallo raccolse quanto ritrovò in campagna con le tende d'Atabalipa, e avanti a mezzodí entrò nella città con una gran cavalcata d'uomini e donne, e con pecore e oro e argento e altre robbe. In queste spoglie vi fu d'oro (in valuta) ottantamila castigliani, e settemila marchi d'argento (ogni marco è otto oncie), e quattordici smeraldi. L'oro e l'argento erano in pezzi monstruosi, che erano piatti grandi e piccioli, e giarroni, e pignatte e brascieri, con altri grossi e varii pezzi. Atabalipa disse che tutti questi erano vasi per suo servigio, e che gl'Indiani suoi che fuggiti erano se ne avevano assai maggior quantità portato via. Il governatore fece lasciare libere tutte le pecore, che erano gran quantità e imbarazzavano il campo, e ordinò che i cristiani ogni giorno n'ammazzassero quante loro ne bisognavano.
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