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      Fatta questa determinazione, m'imbarcai su detta nave di Bengala, e volse la sorte che quello fu l'anno del tufon; e per dire che cosa sia questo tufon, si ha da sapere che ne' mari dell'India ordinariamente non fanno le fortune cosí spesse come in questi nostri mari, ma ogni dieci, undeci o dodeci anni fa una fortuna oltra ogni creder terribile, né si sa fermamente qual anno sia per venire: e tristi quelli che a quel tempo si ritrovano in mare, percioché pochi ne scampano. Ne toccò a noi esser in mare con simil fortuna, e fu ventura che la nave era stata foderata da nuovo, ed era vota, che non aveva altro che la savorna e oro e argento, che dal Pegu per Bengala non si porta altra mercanzia. Durò questa orribil fortuna tre giorni e tre notte, che ne portò via l'antenne con tutte le vele e anco perdessimo il timone, e perché la nave travagliava assai, tagliassimo l'arbore grande, che fu assai peggio, perché la nave senza arbore cadeva ora da una banda ora dall'altra, e s'empiva d'acqua di modo che tre dí e tre notte non fecero altro sessanta uomini che seccare l'acqua che di sopra vi entrava, perché il fondo era buono, né per esso ve n'entrava pur una goccia: venti d'essi attendevano a vodar la sentina, venti nel converso e venti da basso, e tutti con secchie e zare non facevano altro che di continuo gettar il mar nel mare. Finalmente andando ove dal vento e dal mare eravamo portati, si ritrovassimo una notte su le quatro ore con una scurità grandissima in cima di una secca, senza che il giorno avessimo scoperto terra da banda alcuna, né che sapessimo dove che fussimo.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Sesto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1486

   





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