Immediatamente si affissero i cedoloni delle censure contro i suddetti Giudici, e si comminarono contro di essi altre pene afflittive se non desistevano tosto dall'incominciate procedure. Si lagnarono essi altamente col Re di un tale attentato, come troppo lesivo alla suprema autorità, ma egli mischiarsi non volle in questa contesa, e ordinò loro il cedere a comandi del Santo Ufizio. Tutta Lisbona fu ripiena di terrore a tale avvenimento, ed allora sì che gl'Inquisitori infierirono contro chi cadeva in sospetto di reità, di eresìa, e Giudaismo, ed in specie contro i così detti Cristiani nuovi, come i più esposti a vacillare in cose di religione.
Tali rigori furono cagione, che i primari Signori del Regno alla testa de' quali vi erano il Marchese di Marialva, D. Antonio di Mendozza Arcivescovo di Lisbona, D. Cristofano d'Almeida, il Marchese di Tavora, il Conte di Villaflor, D. Emanuelle Sanchez, e diversi altri celebri Teologi e Religiosi di differenti Ordini, fecero una solenne rappresentanza al Trono delle vessazioni orribili, che ricevevano i sudditi dalle maniere di procedere, che si osservavano nell'Inquisizione, e che da ciò ne sarebbe assolutamente seguita la total rovina e spopolazione della Capitale e del Regno. Le ragioni, che allegarono fecero una sì viva impressione sullo spirito di D. Pietro, che malgrado il suo timoroso rispetto per l'Inquisizione, ordinò al suo Ambasciatore a Roma di sollecitare presso Innocenzo XI. una Bolla, che permettesse a suddetti Cristiani nuovi, il potere esporre avanti al Pontefice i motivi, che aveano di lagnarsi del Sant'Ufizio.
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