Che se quei due grandi contrastarono come moderni pedanti d’accademia, divinarono insieme l’esistenza d’un continente messo a contrabbilanciare il nostro sulla via, che «da Gades ci permetterebbe di raggiungere l’India sopra uno stesso parallelo, se non ci atterrisse l’incommensurabile oceano interposto.»
IIIRoma, che la tradizione classica ci descrive soprattutto come intesa principalmente alle conquiste, regære imperio populos, Romane, memento, fu pure un grande fattore d’espansione e di coltura geografica. Giammai si era seguito sopra uno spazio più vasto di quello che Roma tenne lo scambio delle idee, dei prodotti, degli uomini; nessuna meraviglia, se da quei vasti contatti si sprigionava poi, con Strabone e con Plinio, con Pomponio Mela e Marino di Tiro, tanta luce di scienza, e si apriva la via a Tolomeo, quando i legati romani mostravansi alla corte cinese, nel centro d’Arabia, tra i Pitti ed i Garamanti, per modo che quasi una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret. Ma se Roma può darci l’opus magnum, l’enciclopedia naturale, non riesce a darci la scienza, che ritorna ad Alessandria alla cui scuola appartiene l’almagesto, ultima espressione dell’antica geografia. Ivi anche la divinatrice tradizione cosmica dei pitagorici giace obliata, perchè l’ipotesi di Tolomeo, sebbene in gran parte fantastica, comprende nella sua meravigliosa struttura l’intero universo. Per questo la gran sintassi, riassunto e conclusione delle idee e delle dottrine dell’Oriente e della Grecia, doveva diventare di poi l’unica base scientifica, il filo conduttore delle imprese di terra e di mare, l’oracolo della Chiesa, sino alla scoperta d’America.
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