Ricorda la Libia, il mar Rosso, accenna vagamente ai paesi oltre il Gange; crede inabitata la zona torrida, ed immagina terre lontane, inaccessibili ai più audaci navigatori, oltre allo stretto, ove «Ercole segnò li suoi riguardi.»
VFlavio Gioja scopriva intanto la bussola, indarno divinata nella mariniera di Guyot de Provins, e di Giacomo di Vitry, e conosciuta per la proprietà sua da Pier delle Vigne e Brunetto Latini. Non dovevano tardare le grandi scoperte della strada dell’India e dell’America, colle quali s’aprono anche per la geografia i nuovi tempi. Da poi i Fenicî, quello era stato il sogno di tutti i navigatori; aveva affaticato dieci generazioni di piloti veneti e genovesi; Marco Polo l’aveva descritta e Fra Mauro raffigurata nel suo planisferio, e la sua ricerca aveva condotto Guido Vivaldi e Niccoloso da Recco alle Canarie, Tedisio Doria alle Azzorre, Antonio Noli alle isole del Capo Verde, Aloise Cadamosto e Antoniotto Usodimare alle coste di Guinea. Colombo nel suo fortunato errore, l’aveva scambiata colla via degli antipodi. Alla perfine un portoghese, bordeggiando di seno in seno, s’imbattè a percorrerla intera, sulle orme di Diego Cam, di Gian Alfonso d’Aveiro, di Bartolomeo Diaz e degli altri, suscitati dalla intelligente protezione e dall’impulso dei monarchi lusitani, e profittando dei consigli di Martino Behaim e della sua applicazione dell’astrolabio alla grande navigazione. Anche Toscanelli dava avveduti consigli a Colombo, ma incominciava allora per noi quel sic vos non vobis, che ci doveva sbattere sulla faccia umiliata le scoperte gloriose per italiani e inesorabilmente fatali alla patria.
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