VIILasciò scritto Strabone: «la Geografia che ci proponiamo di studiare nella prefata opera ci sembra appartenga al pari d’ogni altra scienza al dominio del filosofo, e più di un fatto ci autorizza a pensare in tal modo. Anzitutto, i primi critici che osarono trattare della geografia erano appunto filosofi, Omero, Anassimandro di Mileto, Ecateo; poi Democrito, Eudosso, Dicearco, Eforo ed altri con essi; più recentemente, infine Eratostene, Polibio, Posidonio, filosofi tutti tre. In secondo luogo la moltiplicità delle conoscenze necessaria a chi vuole condurre a buon fine una tale opera, è propria solo di colui che contempla le cose divine ed umane, cioè l’oggetto stesso della filosofia. Finalmente la varietà di applicazioni di cui è suscettibile la geografia che può servire a un tempo ai bisogni dei popoli e agli interessi dei capi e tende a farci meglio conoscere il cielo dapprima, poi tutte le ricchezze della terra e dei mari, gli animali e le piante, i frutti e le altre produzioni proprie a ciascuna contrada, questa varietà implica ancor essa nel geografo lo stesso spirito filosofico abituato a meditare sulla grande arte di vivere e di esser felice.»(2) E per contrario Ritter si restringe ad esporre la geografia fisica «rinunciando ad indagare tutti i rapporti cosmici, statistici e politici del globo, che furono con essa confusi e vennero trattati da specialisti in opere distinte.»(3) Nondimeno anche la sua geografia, per questo così celebrata, non si limita a caratterizzare spiccatamente la fisonomia del nostro globo, ma, come scrisse Humboldt, «mostra l’influenza della sua configurazione esterna, tanto sui fenomeni fisici che si manifestano alla sua superficie, quanto sulle migrazioni dei popoli, le loro leggi e i loro costumi e tutti i principali fenomeni di cui essa è il teatro.
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