I fatti che provano questa influenza reciproca della natura e dell’uomo furono raccolti, studiati, elevati a dignità di scienza da Buckle, Ansted, Marsh, Somerville. La superficie di intere contrade è stata così cambiata, che spesso i botanici deplorano di non saper ravvisare le vestigia della primitiva vegetazione, ed i geologi, appena ritrovano poca parte dei massi erratici, scomparsi sotto l’assiduo scalpello. Gli Arabi importarono il cammello per migliaia di chilometri lungi dalle primitive sue sedi, gli Europei introdussero gli animali utili in America e in Australia, coprirono le Antille di una vegetazione indiana, trasformarono vasti tratti del deserto, dove cresce, fra oasi ridenti di palme, l’utile sparto.
Come bambina non è dessa ancora, quest’opera d’indigenazione, che ha pur dato di sè, nell’economia dell’universo, tante prove meravigliose! I botanici additano nuovi alberi adatti a solidificare le dune del mare, a contenere gli argini dei fiumi, a sanare paludi, a fertilizzare lande arenose, a rinnovare il verde manto dei boschi. E quante piante alimentari, tessili, coloranti, oleacee, gommifere, quante altre opportune a soddisfare le molteplici esigenze dell’industria, del piacere, dei multiformi e vari bisogni umani?
La geografia descrive la terra abitata e la deserta, e dice quanto giovarono a popolare fittamente l’Europa il clima temperato, i litorali penetrati dovunque dal mare, e l’opportuno alternarsi di monti e di pianure, e come invece l’Africa, priva di snodature, di litorali accessibili a tutt’agio, di fiumi aperti alla navigazione, coi suoi deserti, coi suoi torridi soli, colle sue alternative di siccità e di piogge torrenziali, sia tuttodì selvaggia per decreto di natura più che per colpa degli uomini.
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