Nessuna età ha mai avuto uguale ragione di ripetere il fatidico motto: scienza è potenza. Cresce e si diffonde la fede nel valore pratico della scienza, la fede che il vero sia anche l’utile; che la scienza sia potenza indefinita, immanchevole, sotto tutte le forme. Così essa penetra per ogni dove; le industrie, le arti belle, le istituzioni, le abitudini, il temperamento ne prendono sempre più nome e carattere; la vita nostra se ne imbeve in ogni sua fibra. L’idea dell’utile è più facile a ridestare ed è la più necessaria, quando i governi non possono avere denaro che dal consenso del popolo; ma v’è chi cerca la scienza, come la giustizia, senza pensare ad altro; v’è chi l’ama come una ginnastica eroica, un esercizio sano; v’è chi l’aiuta per l’utile o pel piacere che ne trae. E fra tutte le scienze la geografia è quella che possiede maggiori seduzioni per tutti. Chi non vede come rispondono al suo appello le più disparate inclinazioni, gli intenti ideali degli scienziati, il senso pratico dei commercianti, le ambizioni degli uomini di Stato, la liberalità dei mecenati, la sete d’avventura dei cacciatori, le ascetiche aspirazioni dei missionarî, le umanitarie dei filantropi, la curiosità dei giovani, la balda irrequietezza, la brama di gloria delle anime immaginose, la voluttà dei pericoli, il sublime eroismo del martirio?
Ma scienza e lavoro debbono alla libertà la maggior parte delle loro fortune. Essa ha sciolto con una mano le catene che stringevano la terra, coll’altra quelle che impacciavano il pensiero umano.
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