Non più chiusi nelle caste, non più cose mercabili, non più attaccati alla gleba, gli uomini ebbero agio di movimenti, mentre le vecchie terre tornavano alla mano viva e s’aprivano davanti sterminate le nuove. L’ubique terrarum diventò allora quasi un comando; e con un movimento più intelligente di quello che era stato determinato dal rinascimento ed aveva condotto alle grandi scoperte geografiche, geografia e commercio strinsero l’uomo dovunque v’era speranza di fare una scoperta o d’avviare una fortuna, quasi obbediente ad un nuovo precetto: euntes ergo, docete omnes gentes, e battezzatele in nome di questa religione, per cui dalle nozze feconde dell’utile colla verità nasce la civiltà. Così nei campi, anche più sterminati del pensiero, la libertà determinava non isperate conquiste, perchè rotti i ceppi della censura, chiuse dentro giusti confini la filosofia e la religione, proclamata e sancita nelle istituzioni la sovranità nazionale, eccoci alla perfine arbitri dei nostri destini, giudici degli atti nostri, costretti, per non soccombere, a lavorare, a produrre, a imparare, a guardare sempre in alto, davanti a noi, a non dissociare, sotto pena di prossima o lontana rovina, i nostri interessi particolari da quelli dello Stato.
Che se nessuno disconosce il valore delle scienze esatte in generale e più particolarmente della geografia, se il lavoro è da tutti onorato si diffonde e si rafforza del pari la coscienza del valore d’una bene ordinata libertà politica, fuor della quale non vi è sicurezza per le conquiste della scienza, non vi è guarentigia per i frutti del lavoro.
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