Se la geografia propriamente detta, che si occupa esclusivamente della forma e del rilievo del pianeta, ci espone lo stato passivo dei popoli nella loro storia d’altri tempi, la geografia storica e statistica, in cambio, ci mostra gli uomini intenti alla loro funzione attiva, ripigliando col lavoro il sopravvento sulla natura che li circonda. Quel fiume, che per una gente ignorante di civiltà era una barriera insormontabile, si trasforma in via commerciale per una più colta, e più tardi sarà probabilmente cambiato in un canale d’irrigazione, del quale l’uomo regolerà a suo talento il corso. Quella montagna percorsa solo da pastori e da cacciatori, che chiudeva la via alle nazioni, in una età più civile attrae minatori ed industriali, poi cessa anche di essere un ostacolo, grazie alle vie che la attraversano. Quel seno di mare, dove si rifugiavano le piccole barche dei nostri antenati, è adesso abbandonato, mentre la baja profonda, già temuta dalle navi, ed ora protetta da un molo enorme, costruito con pezzi delle montagne, è diventata il rifugio dei grandi bastimenti.
Cotesti mutamenti senza numero, che l’industria umana compie su tutti i punti del globo, costituiscono una rivoluzione, tra le più importanti negli stessi rapporti dell’uomo coi diversi continenti. La forma e l’altezza delle montagne, lo spessore degli altipiani, le insenature del litorale, la disposizione delle isole e degli arcipelaghi, l’estensione dei mari perdono a poco a poco, nella storia delle nazioni, la loro importanza relativa, a misura che queste aumentano di forza e di energia.
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