In seguito ad una lunga esperienza dell’emigrazione, gran parte dei villaggi di montagna coltiva una certa specialità di lavoro ed intrattiene rapporti non interrotti con città dell’estero, ove i suoi giovani sono sempre ben accolti. Il tal comune manda solo fumisti, il tal altro vetrai o muratori. Ci sono di quelli i cui emigranti sono tutti arrotini, mercanti di stoffe, fiorai, carbonai. Gli abitanti della valle di Blegno, nel Ticino, hanno la specialità delle caldarroste, sebbene non vi siano più castagni nella loro alta valle. L’Engaddina ed altre parti dei Grigioni forniscono l’Europa di pasticcieri, e le valli meridionali del Ticino danno all’Italia un gran numero d’architetti, di disegnatori, di pittori. È raro che gli emigrati non siano economi del loro piccolo peculio come i comuni della loro proprietà territoriale. Si nutrono con poco, ammucchiano i soldi e gli scudi, e, divenuti padroni d’una piccola sostanza, ritornano nella loro valle natìa per costruirsi una casa visibile da lontano e vivere da signori in mezzo ai loro compatrioti. Viaggiando nelle valli più remote delle alte montagne, lo straniero ha più d’una volta la sorpresa di udirsi interpellare nella sua lingua. Un quarto degli abitanti del Ticino parla il francese, molti sanno il tedesco; a centinaja maltrattano lo spagnolo, l’arabo, il greco, il bulgaro. Ritornati ai loro paesi, molti emigranti continuano le relazioni commerciali con i paesi in cui si sono arricchiti. È così che gli svizzeri di Glarona, di San Gallo, del Toggenburg, hanno fondato banche in tutte le grandi città d’Europa, fin nella Scandinavia.
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