D’altronde per rimboschire il Carso, basterebbe sopprimervi l’inutile pascolo: qualunque parte dell’altipiano anche la più arida, quando sia difesa contro le pecore e le capre, a poco a poco si ricopre di cespugli, di ginepreti e di altri arbusti, poi, coll’andar del tempo, la stessa quercia finisce per comparire, riconquistando il suo dominio.(79)
Così la conquista del Carso per mezzo della silvicoltura è possibile, poichè è già riuscita su qualche punto isolato; pini, frassini, acacie, sugheri sono stati piantati ed hanno allignato a milioni nella terra più rocciosa (80) anzi alcuni individui dotati d’iniziativa hanno tentato qua e là con successo di ridurre coltivabile l’aspra superficie; scegliendo luoghi riparati che difendono eziandio con mura ciclopiche, gettando in qualche vicino burrone le migliaia di pietre che ricoprono il suolo e a poco a poco, grazie ad un incessante lavoro, il loro recinto acquista l’aspetto d’un campo. Ma questi miglioramenti agricoli sono rari, e quasi dovunque il Carso conserva l’apparenza d’un deserto di pietre, dove gli stessi villaggi sembrano informi ammassi di rocce.
Chi ascenda sul lembo dell’altipiano, sulle alture di Bassovizza o di Opcina, scorgerà in tutta la sua bizzarria lo straordinario contrasto che esiste fra la zona incantevole del litorale triestino e le desolate solitudini del Carso! Da un lato le acque azzurre solcate da navi, le baie sinuose incorniciate da palazzi, le ville circondate d’alberi e di giardini; dall’altro, la nuda roccia, senza ruscelli, senza fontane, senza vegetazione.
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