La Slavia del sud presenta nei suoi corsi d’acqua il medesimo contrasto che si nota nel suo rilievo orografico. Quivi si scorgono basse pianure, altrove labirinti d’erte montagne e di valli tortuose; da un lato l’eccesso delle acque pluviali dall’altro la mancanza quasi assoluta di sorgenti e di ruscelli. Vi sono pochi paesi limitrofi la cui idrografia sia più bizzarramente svariata.
La parte orientale della mesopotamia croata dove il Danubio, la Brava, la Sava e la Tisza si riuniscono in uno stesso fiume che trasporta da otto a dieci mila metri d’acqua al minuto secondo, è tuttora una regione in formazione per metà di terreni emersi e per l’altra metà lago d’inondazione. Il Danubio trattenuto da rocce, che interrompono il suo corso al disotto di Belgrado, non ha potuto scolare completamente gli avanzi dell’antico mare che si estendeva tempo addietro fra le Alpi e i Carpazi. Scorgonsi a perdita d’occhio stagni e paludi che riempiono pure le depressioni del suolo e gli allagamenti prodotti dalle inondazioni fluviali. Per centinaia di chilometri fra Sisek e Belgrado, il suolo alluvionale è tagliato per ogni verso dalle sinuosità di fiumi e di canali che si diramano indefinitamente e furono già letti fluviali: ivi è il paese a cui si dà il nome di Posavina, come dire sopra la Sava. Il fiume scorre per le campagne estendendosi da un lato, ritirandosi dall’altro, formando banchi di sabbia e vaste isole che abbellisce con verdi salici, abbandonando gli antichi meandri per crearsene dei nuovi.
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