In tal caso però che cosa sarebbero divenuti i Magiari? Al contatto di una civiltà superiore, sotto l’influenza di incrociamenti più numerosi, avrebbero essi potuto mantenere tanta originalità, conservare la stessa lingua, la loro esistenza nazionale?
In Ungheria, specialmente al disotto della Morava e della Leitha, il Danubio assume aspetto di un gran fiume. Eccettuato alle falde di qualche gruppo di colline che ne restringono il corso, le sue rive sono incerte e cangianti; quivi la corrente le erode e le fa cadere in frane enormi che sembrano sciogliersi nell’acqua; altrove arreca alluvioni o prolunga lontano assai nelle acque i promontorii di sabbia. Tuttora indomito crea e distrugge a vicenda: da un lato forma isole, alimenta vasti canneti, bagna il piede dei salici e dei pioppi; dall’altro, schianta gli arboscelli e la terra che li sostiene, e qualche radice soltanto indica il posto dove prima si trovavano. Da ogni parte si vedono aprirsi canali d’acqua melmosa fra le terre basse, e si chiede come il pilota possa regolarsi in mezzo a simile dedalo. Le case si distinguono appena fra gli alberi della riva; ma il fiume, più abitato non sia apparentemente la terra, contiene esso stesso di tratto in tratto villaggi interi di mulini ancorati nella corrente. Vicino alle praterie numerose mandre camminano tranquillamente attraverso alle basse paludi, e stormi d’uccelli acquatici calano sulle canne, mentre le rondini vanno ad annidarsi nelle cavità degli argini verticali come sotto il riparo di un tetto.
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