Dopo le grandi siccità non restano nella puszta che buchi melmosi e i pastori a gran stento trovano l’acqua nei pozzi dei quali si distinguono qua e là sull’orizzonte le alte travi a lunghe braccia oblique. Ai due lati della Tisza, ma specialmente fra Debreczen e Nagy-Várad si stendono in molte regioni della pianura laghi di natron o carbonato di soda, uguali a quelli dell’Egitto e della Persia, le cui efflorescenze sembrano strati di neve quando l’umidità del suolo è completamente svaporata: da ciò il nome di «laghi Bianchi» (Fejér tò,) col quale sono designati in molti distretti dell’Ungheria. Qua e là vi sono pure laghi di salnitro o di nitrato di potassa, nei quali fino a pochi anni or sono se ne raccoglievano i cristalli in gran quantità per adoperarli in diversi usi;(207) quest’industria però è quasi del tutto abbandonata.(208)
Dalla rassomiglianza del mezzo geografico derivano le rassomiglianze degli abitanti e dei costumi. Come le steppe erbose del-l’Asia, come le grandi praterie e le vaste pianure del Nuovo Mondo, la puszta era anche di recente un paese di pascoli, dove gli animali erravano alla ventura guidati da pastori nomadi. Oggidì la coltivazione ha invaso quasi tutto il paese, ma si vedono ancora qua e là avanzi di quell’antico mare di erbe. Branchi di cavalli passano come in ordine di battaglia; mandre di bovi accozzati alla rinfusa, bufali sdraiati pigramente nella melma sembrano padroni della pianura. Di tratto in tratto qualche cicogna e le gru drizzano i lunghi profili sulle rive degli stagni, e par d’essere fra una natura vergine lontano da ogni luogo civile; il forte cavaliere che si slancia dietro agli animali ha esso pure qualche cosa di selvaggio.
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