Che se i Magiari hanno conservato quest’antica cerimonia guerresca, hanno però dovuto da lungo tempo adattarsi del loro meglio agli usi europei che li circondano e collegarsi alle nazioni vicine coi mille vincoli di una comune civiltà. Del suo passato l’Ungherese ha conservato il libero portamento, il gesto maestoso, lo sguardo aperto e fiero. Ha un’altissima idea della propria razza e sa d’esser nobile, perchè la nobiltà era anticamente il privilegio degli uomini liberi; perciò adopera volontieri frasi di una urbanità rispettosa, che d’altronde hanno perduto il loro primitivo significato: parlando a un compagno gli dà il titolo di «Tua grazia!» La parola becsület (onore) si ripete sovente nel suo linguaggio e tutto ciò che egli fa deve essere degno di un gentiluomo. Coraggiosissimo, narra con piacere le alte imprese della sua nazione e ne racconta i grandi fatti guerreschi; sovente però è anche ingenuo o piuttosto incurante, e il Tedesco e l’Ebreo riescono facilmente ad ingannarlo valendosi dei suoi nobili sentimenti perchè di tutti i popoli d’Europa è quello che ha più viva la passione della grandezza. Szèchenyi diceva «l’Ungheria non è stata, sarà.» Se il Magiaro è troppo fiero ed amante delle grandi cose e per conseguenza ingenuo e sincero per essere abile, si distingue però per una singolare acutezza giuridica e difende il diritto scritto con una tenacità da Inglese. «L’Ungherese può vivere sulla punta di una rocca,» dice un proverbio. Tenerissimo della patria, predilige il suo Danubio, la sua Tisza e la sua pianura uniforme e senza confini: uno de’ suoi antichi proverbi dice «fuori dell’Ungheria la vita non è vita.